Il guscio dei ricordi
Ciò che vogliamo custodire e preservare nel tempo necessita di un posto sicuro in cui giacere, un nascondiglio, fosse solo un rifugio, un angolo il cui accesso sia regolato e controllato esclusivamente da noi, in modo che nessuno sguardo indiscreto possa violarlo.
Poco importa che l’oggetto risponda ai canoni della preziosità commerciale, anzi il più delle volte si tratta di elementi insignificanti per il resto del mondo, spesso impalpabili, accomunati comunque dalla possibilità di esistere solo all’interno di un contenitore.
Forse era quello il motivo per cui Irene era affascinata dalle scatole: piccole, grandi, di latta, legno, cartone; ne possedeva tante e in ognuna di esse aveva deciso di riporre un pezzetto della sua vita, perché ogni tassello le sembrava importante. Alcune non le apriva mai; ne conosceva bene il contenuto e proprio per quello non desiderava rianimarlo, seppure solo con gli occhi. Non poteva cancellarlo e le bastava sapere che si trovava lì, al suo posto, reale ma ormai inoffensivo.
In altre risuonavano risate di bambina, filastrocche e canzoni, parole di auguri, confidenze sussurrate, conchiglie e bottoni: le capitava di aprirle sovente, queste, soprattutto quando aveva bisogno di respirare a pieni polmoni, che era più o meno la sua idea di felicità.
In molte, invece, erano deposte parole, imbustate, ordinate, antiche e straripanti di affetto: erano quelle più solide e resistenti che, nonostante l’inconsistenza della carta, costituivano il pilastro della sua esistenza, il sostegno che c’era sempre stato anche quando non se ne era resa conto.
E poi c’erano quelle in cui rovistava continuamente, scompigliandone il contenuto quasi a volerlo modificare perché parlava di un passato giovane che si lasciava in parte plasmare e che si mostrava ancora recalcitrante nei confronti dell’immutabilità della storia.
Ne aveva altre poi, vuote, in attesa del futuro e le sembravano le più belle, colorate di sogni e di speranza.
Ma fra tutte, indiscutibilmente, ce ne era una che occupava un posto d’onore nella sua casa e nel suo cuore: era una scatolina foderata di stoffa marrone, una specie di bauletto in miniatura; il biglietto che conteneva riportava in quattro parole la più bella ricetta di vita che avesse mai potuto ricevere:
“Ricordati che devi sorridere!”.
Era autunno inoltrato e Irene, seduta al tavolo della cucina, aveva poggiato con gioiosa frenesia davanti a sé tre barattoli che presto avrebbe riempito di golose raffinatezze. Mentre si predisponeva a sgusciare mandorle, noci e pistacchi frantumandone non senza indugio l’involucro inespugnabile che li aveva lungamente protetti, ripensò alle sue scatole, agli involucri della sua vita e al piccolo scrigno marrone che custodiva un tesoro: il testamento spirituale della nonna che non c’era più.
Fu percorsa da un brivido ma, sulla scia di una goccia salata di nostalgia, si scoprì ricca, forte e felice così come qualcuno le aveva insegnato.